Riconoscere gli attaccamenti che fanno soffrire

Scritto da admin il 06 set., 2009, su GOOD LIFE LAB

Non essere schiavo del passato, tuffati nei mari sublimi, affonda nelle profondità e nuota lontano così da ritornare rispettando te stesso, con un nuovo potere, con un’esperienza progredita, che spiegherà e supererà il vecchio. (Ralph Waldo Emerson)

Per fluire liberamente con il non attaccamento non bisogna confondere il distacco con l’indifferenza. Distacco non vuol dire pensare: <<quella persona può parlare o agire così e per me è la stessa cosa>>. Significa essere distaccati dal nostro desiderio di rimanere attaccati alle cose, senza rimanere vittime della passione per alcuni oggetti, alcune persone, alcune cose, in particolare. La questione è se siamo disposti o meno a metterci in sintonia con tale fenomeno, servendocene nella vita quotidiana.

Il non attaccamento porta alla liberazione dalla sofferenza. Se non ci attacchiamo più a nulla, tutte le nostre paure, i nostri problemi, le nostre ansie, le nostre paure, svaniscono come neve al sole.

La sofferenza, indipendentemente dalla forma che assume, è causata dalla mente, da una mente che insiste nell’avere preferenze, e che non vuole permettere agli altri di essere come sono.

La sofferenza deriva dall’attaccamento a una situazione diversa da quella che c’è : dal desiderio di qualcosa che non abbiamo o dall’avversione a qualcosa che si ha.

Nel buddhismo, la sofferenza deriva dalla separazione da ciò che si ama o dall’unione con ciò che si odia. L’illuminazione consiste nella consapevolezza che le cose e le persone cambiano continuamente e sono tutte collegate fra loro e quindi nello sviluppo del non attaccamento.

La sofferenza può assumere molti aspetti e gli attaccamenti più frequenti possono essere:

Uno dei più comuni attaccamenti è l’attaccamento alle cose. Nell’Occidente la maggior parte delle persone identificano se stesse e il proprio grado di successo o di fallimento con la qualità e quantità delle cose che accumulano. Quando istituiamo un tale rapporto stiamo vincolando il nostro valore di esseri umani all’acquisizione di beni materiali. Di conseguenza ci esponiamo a soffrire quando questi beni non sono presenti nella misura desiderata nella nostra vita. Diventiamo le nostre cose. Adottando tale posizione, ci si mette nelle condizioni di vivere una perfetta frustrazione.

Quello che in realtà si esprime è che si è privi di valore, incompleti, carenti. Si deve rifornire continuamente la scorta dei beni materiali che si possiede per sentirsi valorizzati. E’ un atteggiamento che distoglie il proprio sguardo dagli occhi e dal cuore di chi incontriamo per dirigerlo al portafoglio e alle ricchezze.

Più si lega il senso di quello che si vale e la propria umanità a cose esteriori, più si dà a queste cose il potere di controllarci.

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2 commenti:
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